Dr.House – Everybody dies (SPOILER)

Lo scorso 21 maggio è stato trasmessa negli Stati Uniti Everybody Dies, puntata finale di una serie TV che ha segnato profondamente l’immaginario televisivo contemporaneo, House M.D., in Italia Dr.House – Medical Division. Dopo averci accompagnato per otto anni, il dottor Gregory House (Hugh Laurie) – lo diciamo subito così ci togliamo il dente – “muore”.Il finale, come è giusto che sia, rappresenta un po’ una summa di quelli che sono stati questi otto anni di diagnosi e tocca tutti i temi portanti che hanno caratterizzato la serie sin dalla sua nascita. In esso trovano dunque spazio argomenti quali l’importanza della ricerca della verità, lo scontro tra Fede e Ragione, il gusto della sfida e della risoluzione degli enigmi, la sofferenza fisica, il rifiuto del compromesso, il valore dell’amicizia e, soprattutto, il quesito portante di quest’ultima stagione: è possibile cambiare, o in un modo o nell’altro rimaniamo sempre uguali a noi stessi?

La puntata in realtà sia a livello di sceneggiatura che di regia non è tra le migliori della serie, nonostante sia sceso in campo il creatore in persona, David Shore, a firmare entrambe. Discontinua a tratti, a tratti troppo frettolosa, si muove su due piani temporali senza troppo sorprendere: da un lato, un presente con House che si trova in un edificio in fiamme in preda ad allucinazioni causate dalla droga, dall’altro, l’immediato passato e il racconto delle vicende che l’hanno portato in quella situazione. Sullo sfondo una decisione estrema da prendere: cercare di sfuggire alle fiamme o abbandonarsi alla morte e porre così fine, una volta per tutte, alle proprie sofferenze?

E per prendere questa decisione, House si confronta, nel suo trip, con i personaggi che più hanno segnato la sua esistenza e più hanno messo in crisi il suo sistema di valori: l’ex-moglie Stacy (Sela Ward), l’assistente suicida Kutner (Kal Penn), la bastarda taglia-gole Amber (Anne Dudek), morta nonostante le cure del suo staff, e chiaramente la dott.ssa Cameron (Jennifer Morrison), che nella prima stagione lo amava incondizionatamente. Una parata alla fine della quale House raggiunge la porta dell’edificio ma, di fronte agli occhi increduli del suo migliore amico Wilson (Robert Sean Leonard) e di Foreman (Omar Epps), accorsi sul luogo per salvarlo, si lascia travolgere dalle fiamme e, per l’appunto, “muore”.Sapete qual è il punto debole di quella scena? Che dopo otto anni tutti conosciamo benissimo House e capiamo immediatamente che in qualche modo assurdo deve essere riuscito a inscenare la propria morte. Di conseguenza, il successivo funerale con tutti gli interventi strappalacrime del caso non ci tocca minimamente; ci limitiamo a stare lì ad aspettare la svolta, il momento in cui ci verrà svelato qualcosa che già sappiamo. E il momento arriva durante l’accorato elogio funebre/invettiva di Wilson, che nel bel mezzo del discorso riceve dall’amico un significativo sms: «Shut up you idiot». Taci, idiota.

E poi House e Wilson si incontrano segretamente e l’arcano è svelato: House è uscito dalla porta sul retro dell’edificio in fiamme (!). E così ora il dottor Gregory House per il mondo intero risulta morto. Perché questa messa in scena? Per capirlo ci vuole un riassunto delle puntate precedenti: Wilson ha recentemente scoperto che a causa di un tumore gli rimangono cinque mesi di vita. In questi cinque mesi, ha bisogno che il suo migliore amico gli stia vicino. Ma House, a causa di uno scherzo sfuggitogli di mano, corre il rischio di passare quei cinque mesi in prigione. Ed è per Wilson che Gregory House finge la sua morte. Non per sé, non, egoisticamente, per evitare la galera. Gregory House muore per il suo migliore amico. E nel fingere la sua morte fisica, il personaggio-House, stronzo, egoista, autolesionista, muore davvero.

Insomma, la puntata, pur non essendo perfetta, ha i suoi meriti e vive in buona parte dell’effetto emotivo che provoca, da sempre, la fine delle cose, anche di quelle più triviali, come una serie tv. Inoltre, David Shore è riuscito a centrare l’unico finale possibile e sensato. Intanto perché House, nato come omaggio dichiarato a Sherlock Holmes, aveva bisogno delle sue cascate di Reichenbach. E poi perché con questa “morte” si completa finalmente l’arco narrativo di un personaggio che soprattutto nelle ultime stagioni si è ritrovato spesso a girare su se stesso e a comportarsi come una macchietta fastidiosa e priva di spessore, dimostrando una cronica incapacità a evolvere. La morte, per House, è l’occasione per un nuovo inizio. Cosa farà tra cinque mesi, dopo la dipartita di Wilson? Come si reinventerà, cosa diventerà? Non lo sapremo mai, ma di certo sarà una persona del tutto nuova.

E questa è la risposta che la serie è riuscita a dare al quesito “è possibile cambiare?”. Sì, è possibile, ma a volte costa caro. Il dottor Gregory House, per cambiare, è dovuto morire.

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