Quarto e ultimo appuntamento con i film del Trieste Science+Fiction Festival (anche se mi piacerebbe fare un articoletto bonus più avanti per parlare della serie tv coreana SF8). Oggi parliamo di un film francese che fa sua la lezione di The Cube e Saw, del film più bello del festival – che se ci fossero i cinema aperti si potrebbe anche distribuirlo in Italia e farci i soldi anche se è russo – e del sequel di Train to Busan.
Meander
di Mathieu Turi
(Francia 2020, 90′)

Uno sfortunato incontro in autostop ha per Lisa le conseguenze più inaspettate: aggredita dal conducente del pickup su cui è salita, si risveglia in un lungo cunicolo cosparso di trappole mortali e enigmi da risolvere. Provata nel corpo e nella mente, dovrà districarsi nei meandri di questo misterioso ambiente dove… lo dico o non lo dico? Ma sì dai lo dico: dove nulla è ciò che sembra.
Un bel thriller francese claustrofobico e intenso che si regge sulle spalle della sua bravissima interprete, l’attrice e modella Gaia Weiss, che forse qualcuno di voi ha già visto su Vikings. Adrenalina alta, tensione allucinante, quel tanto di torture porn che basta senza andare però a scivolare (quasi mai) nel disgustoso sono le ricette di un film che regge benone per tutta la sua durata ma chiude frettolosamente con un finale un po’ troppo aperto e contraddittorio. Resta comunque un prodotto valido e godibile.
Sputnik
di Egor Abramenko
(Russia 2020, 113’)

Unione Sovietica in piena guerra fredda. Il rientro della navetta Orbit-4 non va liscio come si sperava: uno dei due cosmonauti muore, l’altro sembra illeso ma soffre di amnesia. La neuropsicologa dai metodi poco ortodossi Tatiana Klimova viene contattata per studiare il sopravvissuto. Scoprirà che al rientro dallo spazio ha portato con sé un ospite indesiderato.
Mi tolgo subito la soddisfazione di dirlo: Sputnik è un film bellissimo. Scrittura solida, girato bene, emozionante, con interpretazioni di alto livello. Parte come una specie di Esorcista in salsa aliena, ma presto il fuoco si sposta sul rapporto – umanissimo – tra la psicologa e il cosmonauta e le forze in gioco mutano istante dopo istante, in un rimpallo continuo di segreti e non detti che ti tiene con il fiato sospeso e, proprio quando credi di aver capito tutto, ti frega con un ultimo colpo di scena. Era davvero un sacco di tempo che non vedevo un horror ad ambientazione fantascientifica così riuscito e ben scritto! Gli ci vorrebbe un distributore anche in Italia, questo film merita la sala!
Peninsula
di Yeon Sang-ho
Corea del Sud, 2020, 115′

Quattro anni dopo le vicende narrate in Train to Busan, la Corea del Sud è un territorio isolato in cui imperversa libera l’epidemia zombie. Un ex militare che è riuscito a scappare dalla penisola ma ora è ridotto a essere un paria a Hong Kong, dove si è rifugiato, rientra nella penisola per recuperare un carico prezioso. Scoprirà che nello scenario postapocalittico che si trova di fronte gli zombie non sono l’unica minaccia.
Allora, partiamo dal presupposto che a me, sostanzialmente, Peninsula è piaciuto. Non è assolutamente un horror, ma un action movie un bel po’ ignorante con gli zombi dentro. Più che a Romero, fa il verso a Mad Max e a tutti i mille scenari postapocalittici che la cultura pop orientale ha saputo così bene esplorare. La Corea zombizzata è un po’ il Kanto di Violence Jack: vale la legge del più forte, l’umanità ha lasciato spazio alla crudeltà fine a se stessa e alla spersonalizzazione, ma qua è là resistono piccoli nuclei di resistenza al caos che imperversa. Il film è divertente, ha qualche buon momento e qualche caduta di stile, potrebbe valere tutto sommato una visione. La cosa che non mi spiego è come gli sia venuta l’idea di produrre una cafonata simile ambientandola nello stesso universo narrativo di quel gioiellino di Train to Busan. Al di là del traino commerciale del brand, che per carità come motivazione può anche essere valida, Peninsula non ha nulla dell’atmosfera, della delicatezza, dell’inventiva del film di cui dovrebbe essere un sequel. Cioè, per carità, è carino e se avete modo recuperatevelo, ma se non l’avete ancora fatto guardatevi piuttosto Train to Busan: quello sì è imperdibile e disponibile tra l’altro in un cofanetto unico targato Midnight Factory con il suo prequel animato, Seoul Station, quasi altrettanto valido.