Howard Carter e la maledizione di Tutankhamon

Oggi Google dedica il suo doodle a Howard Carter, archeologo ed egittologo britannico, nato esattamente 138 anni fa. Di famiglia povera, Carter si appassionò all’archeologia e all’Antico Egitto grazie al sostegno del barone William Amhurst Tyssen-Amherst. A soli 25 anni, Carter era ispettore capo del sud dell’Egitto e divenne quindi responsabile dei siti di Karnak, Luxor, Tebe e della Valle dei Re. Inoltre, diresse gli scavi delle tombe di Seti I e Nefertari, oltre che quelli di Abu Simbel e Aswan. Ma l’impresa che lo consacrò ai libri di storia fu certamente la scoperta della tomba di Tutankhamon, avvenuta il 26 novembre del 1922.

Al tempo, il motivo della meritata fama di Carter all’indomani della scoperta era che la tomba di Tutankhamon, oltre a risultare la più ricca e meglio conservata tra quelle scoperte fino ad allora, era totalmente inviolata, sia dagli archeologi che dai predatori di tombe. Oggi invece il sepolcro di Tutankhamon è legato, nel sentire comune, non tanto alle eccezionali circostanze che portarono al suo ritrovamento, quanto alla memoria di una fantomatica maledizione che avrebbe colpito inesorabilmente tutti coloro che furono coinvolti nella sua scoperta.

Questi i fatti, riportati dal sito del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), sempre molto attento a “sbufalare” dicerie e credenze irrazionali:

Tornato a casa, Carter scoprì che un cobra – che nella religione egizia era il dio che avrebbe dovuto difendere la tomba appena profanata – aveva ucciso il suo canarino dorato. Lord Carnarvon [il finanziatore della spedizione, ndR] morì nell’aprile successivo, a causa dell’infezione scatenata da una puntura di zanzara sulla guancia sinistra che provocò una serie di complicazioni e la morte per polmonite in pochi giorni. Secondo la leggenda, la città del Cairo fu colpita in quel momento da un blackout e in Inghilterra, Susie, il cane di Lord Carnarvon iniziò a ululare e morì nello stesso istante del suo padrone. In molti iniziarono a collegare questi eventi all’apertura della tomba: è l’origine della storia sulla maledizione che uccide. Nel 1929, undici tra le persone coinvolte nella scoperta risultavano scomparse per cause non naturali o per morte prematura; tra di essi, il fratello di Carnarvon, l’assistente di Carter Arthur Mace, il segretario di Carter Richard Betel e suo padre Lord Westbury, l’egittologo, che si suicidò dopo aver scritto: «Non posso più sopportare questi orrori e fatico a vedere cosa potrei fare qui di buono, perciò esco di scena». Nel 1935 le vittime della maledizione del faraone erano 21.

Tutta una coincidenza? Noi di Dietro le nuvole (e così il Cicap e ogni persona di buon senso) pensiamo di sì.

Non a caso, la maledizione della tomba di Tutankhamon viene anche citata nell’interessante Sulla scena del mistero (Sironi Editore, 2010), manuale di indagine sui misteri e sul paranormale a cura di Stefano Bagnasco, Andrea Ferrero e Beatrice Mautino, come chiaro esempio di quello che gli autori chiamano mystero (con la ypsilon!), vale a dire un mistero che tale non è, costruito il più delle volte a tavolino sulla base di dati falsi o fallacie logiche.

Alcune delle "vittime" della "maledizione". Fonte: wikipedia.

Indagando un minimo sulle morti legate alla tomba di Tutankhamon, ci troviamo di fronte ad almento due dati interessanti.
Il primo è che, tra i partecipanti alla spedizione, solo Lord Carnarvon morì a brevissima distanza dalla scoperta del sepolcro (e tra l’altro era già fisicamente debilitato da una precedente malattia). Le altre vittime caddero in un arco di tempo compreso tra i 6 e i 60 anni dalla scoperta.
Il secondo dato è l’età media al momento della morte di queste presunte vittime: secondo uno studio condotto dal ricercatore australiano Mark Nelson e pubblicato sull’autorevole British Medical Journal nel 2002, essa era di ben 70 anni. Vale a dire, superiore alla media dell’epoca.

E allora da cosa nasce il mito della maledizione? Molto semplice: dalla fiction. Nel marzo del 1923 fu la scrittrice Marie Corelli, forse ispirata dalla morte del canarino di Carver, ad alludere all’esistenza di una maledizione legata alle spoglie del faraone, dando il via alla leggenda. Una leggenda cavalcata prontamente dalla stampa dell’epoca, che la arricchì con aneddoti inventati di sana pianta, non ultima la presenza, all’interno della tomba, di un inesistente geroglifico, che avrebbe recitato, platealmente: «They who enter this sacred tomb shall swift be visited by wings of death». Coloro che entreranno in questo sacro sepolcro, riceveranno presto la visita delle ali della morte. I soliti media ansiogeni e catastrofisti.

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