È uscito in sala da poco più di una settimana IT, il nuovo adattamento dell’omonimo romanzo-fiume di Stephen King diretto da Andy Muschietti, pupillo di Guillermo Del Toro (e già in apertura d’articolo abbiamo infilato tre nomi niente male).
Forte dell’effetto nostalgia legato alla miniserie televisiva degli anni Novanta, che era stata capace di terrorizzare una generazione, e di recensioni eccezionali sulla stampa internazionale, il film (che dell’epopea di IT adatta solo la parte ambientata nel passato con l’intenzione di affrontare la parte ambientata nel presente nella parte II, in uscita tra un paio d’anni) anche qui in Italia sta andando piuttosto bene: è in vetta al Box Office con un incasso globale di oltre 6 milioni di euro e i commenti che si leggono in giro sono principalmente positivi.

E infatti il film è bello. Il confronto con la miniserie degli anni Novanta è impietoso per la miniserie degli anni Novanta che, al netto di un Tim Curry in stato di grazia che reggeva da solo tutta la baracca, era comunque un prodotto televisivo girato in un’epoca in cui non era ancora iniziata la rivoluzione Twin Peaks, quindi aveva valori produttivi e artistici decisamente bassi. Faceva il suo lavoro (io non lo vidi al tempo perché già solo la pubblicità mi terrorizzava) ma rivisto oggi è veramente debole e, soprattutto nella seconda parte, a tratti ridicolo.
Questo nuovo IT al posto di Tim Curry ha un attore molto più giovane, il ventisettenne Bill Skarsgård, ma anche bravissimo, che – complici effetti speciali decisamente efficaci – dona al suo Pennywise una presenza e delle movenze a dir poco disturbanti, una mimica raccapricciante e uno sguardo che ti getta diritto nell’abisso.
I losers sono affiatati e funzionano bene, anche se ho trovato poco credibile Finn Wolfhard, il piccolo protagonista di Stranger Things, che qui interpreta il volgare e logorroico Richie Tozier, che per intenderci nella serie degli anni Novanta era questo personaggino insopportabile qui:
Decisamente pollice su invece per Sophia Lillis che interpreta Beverly Marsh, cuore e anima del club dei perdenti, e che è una di quelle nuove leve da tenere d’occhio perché ha solo quindici anni ma è davvero molto molto brava.
Regia consapevole, immagini suggestive e fantasiose, scene genuinamente inquietanti (più o meno tutte quelle dove appare Pennywise, ma non solo) e una sceneggiatura che presta una forte attenzione alle dinamiche interpersonali tra i giovani protagonisti sono la ricetta di un film che funziona, intrattiene e cerca di adattare al meglio il materiale originale, che comunque è sterminato e starebbe stretto in qualunque formato video.
Ci sono però anche alcune scelte che non mi sono affatto piaciute, per questo dico che questo film un’occasione persa. Non ho mai letto il libro di Stephen King (sto rimediando proprio in questi giorni), quindi non so precisamente quanto di quello che sto per scrivere vale solo per il film e quanto vale anche per il libro.
1. Un solo piano temporale
La decisione di separare passato e presente così drasticamente in due film rende la prima metà di questo It abbastanza noiosa: ognuno dei loser incrocia il pagliaccio ballerino, ognuno ha la sua dose di incubi, ognuno in qualche modo riesce a fuggire. Ma lo schema si ripete quattro o cinque volte di seguito senza alcun tipo di stacco o decompressione, avere un incrocio di piani temporali come nella vecchia serie (ma magari gestiti meglio) avrebbe dato una marcia in più al film.
La scelta ha anche conseguenze sul piano dell’immedesimazione: per quanto collegati dai comuni ricordi con i protagonisti del film (e spostare l’ambientazione agli anni Ottanta probabilmente aveva anche questa funzione) gli spettatori adulti faranno comunque un po’ di fatica a immedesimarsi completamente in loro senza un qualche gancio con gli equivalenti adulti.
2. Molto jump scare, poca tensione reale
Il film si basa molto sull’effetto jump scare: ogni tot minuti ti trovi un clown assassino che ti si butta addosso muovendosi in maniera convulsa con l’obiettivo di farti fare un salto sulla sedia e tenere la tensione alta. Peccato che in questo modo si perda un po’ il senso di inquietudine continua che dovrebbe permeare lo spettatore.
Presente Michael Myers nel primo Halloween, che per più della metà del film non fa nulla ma si limita ad apparire e scrutare da lontano? Al punto che anche quando non è in scena ti aspetti che sia lì, dietro una tenda, vicino a un lampione? Che tu per sicurezza ti guardi un po’ intorno anche sulla poltrona di casa tua?
Ecco, non sto dicendo che It avrebbe dovuto essere così, ma che magari avrebbe potuto a mescolare un po’ lo spavento facile con uno un po’ più sottile, sicuramente l’alchimia complessiva ne avrebbe giovato.
3. Dov’è Derry?
Ci sono varie scene in cui si suggerisce che il problema di Derry non è solo It, ma Derry stessa. Ora, se me lo spieghi così smaccatamente io posso pure crederci, ma nella trama poi questo aspetto è sviluppato poco o niente e mi avrebbe fatto piacere che fosse approfondito di più.
4. Dalla parte di Henry Bowers
Ho avuto la netta sensazione, guardando il film, che ci fossero molte più cose da raccontare su Henry Bowers, il bullo che tormenta i losers e in cui a un certo punto sembrava che IT si dovesse quasi trasfigurare. Il personaggio sembrava così interessante, ma la sua “evoluzione” arriva improvvisamente e senza un arco narrativo preciso. Perché si comporta così? Cosa c’è nel suo passato a parte un padre severo? Quante ne ha passate per arrivare a essere il tipo di persona che incide delle lettere sulla pancia della gente?
5. Finale Facilone (spoiler)
IT è l’incarnazione della paura, quindi una volta superata la paura non può più farti nulla e vinci tu. Credo di aver visto per la prima volta questa soluzione in un cartone animato visto alle elementari. Ho capito la metafora sul bullismo che funziona perfettamente, ma una risoluzione del genere nel 2017 è a dir poco anticlimatica.
PS Io tra parentesi il film l’ho visto in lingua originale a un’anteprima di mezzanotte che ho contribuito a realizzare, che aveva un allestimento di questo tipo qui: