6 pubblicità recenti accusate di razzismo

In un momento storico in cui, quanto a razzismo, in Italia non si scherza per niente, sta facendo discutere in queste ore la pubblicità a mezzo stampa della compagnia navale Tirrenia, che vanta orgogliosamente la totale italianità del proprio equipaggio.

La pubblicità è razzista in maniera indifendibile: il payoff è infelice e puzza di destra nazionalista, il copy sottintende che lavoratori “non italiani” non sarebbero capaci di fornire “un servizio impeccabile”, non sarebbero “il meglio”. Sull’interpretazione del passaggio in cui si parla di “fiducia” sorvolo perché ho idea che la doppia lettura possibile sia voluta e preferirei pensare di no.

[Aggiornamento: sulla campagna Moby/Tirrenia c’è un approfondimento piuttosto interessante su Lettera43.]

A ogni modo, Tirrenia è in buona compagnia. Senza andare a scavare troppo indietro nel tempo, negli ultimi dieci/quindici anni molti altri brand sono stati accusati, più o meno a ragione, di razzismo. Ecco dunque una bella lista di 6 pubblicità, a mezzo stampa e non solo, che in tempi recenti sono state considerate razziste.

1. Dove

A ottobre 2017 Dove commette una notevole leggerezza diffondendo uno spot in cui, in seguito all’utilizzo dei propri saponi, una ragazza nera si spoglia magicamente della sua pelle e diventa bianca.

A parte reminiscenze alla Calimero, lo spot di Dove in realtà aveva intenti tutt’altro che razzisti (nel suo prosieguo la ragazza si spogliava nuovamente cambiando di nuovo colore, a indicare la possibilità di usare i prodotti Dove con ogni tipo di pelle), ma alcuni fotogrammi dello spot erano stati estrapolati malamente e pubblicati sui profili social ufficiali dell’azienda, dando adito a infinite polemiche e obbligando Dove di fatto a ritirare dalla circolazione sia le immagini che lo spot relativo porgendo le proprie scuse.

2. H&M

All’inizio di quest’anno, proprio nei primi giorni del 2018, qualcuno si accorge di questa pagina sul sito di H&M, in cui per pubblicizzare una felpa col cappuccio su cui figura la scritta “la scimmietta più cool della giungla” viene utilizzato come modello un bambino nero.

L’immagine inizia a girare sui social, con commenti anche di alcuni vip come il musicista The Weeknd e il cestista LeBron James, e un vero e proprio uragano si abbatte sul colosso dell’abbigliamento, che toglie l’immagine dal proprio sito ufficiale e porge, anche in questo caso, le più sentite scuse.

Tra le altre cose, l’accaduto ha scatenato un’onda di proteste e manifestazioni in Sudafrica, dove H&M si è trovata addirittura a dover chiudere provvisoriamente i propri negozi.

3. Sony

L’advertising qui sopra, in cui una donna bianca afferra al volto con gesto di superiorità una donna nera sensibilmente più bassa di lei, risale a giugno del 2006 e riguarda il lancio di una versione bianca della Play Station Portable nei mercati olandesi.

Già al tempo fu aspramente criticata, al punto che Sony la ritirò in tempo zero, e a onor del vero era una declinazione molto infelice di una campagna multi-soggetto che in questo e in altri modi puntava a evidenziare il contrasto tra la vecchia PSP nera e la nuova e migliore PSP, bianca.

4. Intel

L’anno è il 2007, Intel pubblica su una rivista l’adv qui sopra, in cui il grande capo bianco riesce a ottenere il meglio dai suoi dipendenti, tutti neri.

La cosa incredibile è che questa specifica campagna era già stata riconosciuta come fuori luogo da Intel stessa, che aveva provato a ritirarla prima che andasse in stampa. Questo almeno è quanto riferì al tempo Nancy Bhagat, vice presidente e direttore al marketing integrato dell’azienda:

L’obiettivo della nostra pubblicità intitolata “Moltiplica le performance di computazione e massimizza il potere dei tuoi impiegati” era di rappresentare le performance potenziali dei nostri processori tramite la metafore visiva di un velocista. Già in passato avevamo usato questa metafora con successo.

Sfortunatamente, l’esecuzione non trasmetteva il messaggio previsto e anzi ha finito con l’essere insensibile e offensiva. Accorgendoci di questo problema, abbiamo cercato di ritirare l’adv da tutte le pubblicazioni ma, sfortunatamente, non siamo riusciti a bloccare quell’ultimo piazzamento media.

Siamo dispiaciuti e lavoreremo alacremente per far sì che un evento simile non si verifichi mai più.

(Fonte: Consumerist)

5. Trenitalia

Nel 2011 Trenitalia presentava sul suo sito con l’abbinamento testo/foto qui sopra (fonte dello screenshot: Fulltravel.it) le quattro diverse classi dei Frecciarossa: executive, business, premium e standard. Notate nulla di strano? Sì, ci vedete bene: le tre classi più costose sono frequentate da uomini bianchi, la più economica invece da una famiglia di immigrati. Agevoliamo il megazoom della morte:

Quando la cosa è stata segnalata e hanno iniziato a piovere critiche, Trenitalia ha prima tolto l’immagine e poi l’ha sostituita con un’immagine dei solo sedili senza persone. Non mi risultano scuse dell’azienda, che si è limitata a commentare:

È una delle tante scelte per il livello Standard e pubblicate sui vari media del Gruppo Fs. Basta guardare sul sito e ci si accorge che per il livello Standard ci sono famiglie, bambini, adulti, anziani, professionisti, eccetera, anche non ‘di colore’.

6. Ministero della Salute

Nell’agosto del 2016 la campagna sul Fertility Day promossa dal Ministero della Salute aveva già saputo dare mostra di notevolissimo cattivo gusto con una sequenza di immagini a dir poco imbarazzanti.

A settembre di quell’anno però c’è stato un ulteriore salto di livello con la diffusione dell’opuscolo “Stili di vita corretti per la prevenzione della sterilità e dell’infertilità” (che non sembrerebbe proprio il titolo di un opuscolo diffuso da un governo dopo il 1945, ma lo è). La copertina dell’opuscolo era la seguente:

Quindi ricapitolando: buone abitudini da promuovere = ragazzi bianchi giovani e belli sulla spiaggia. Cattivi compagni da abbandonare = ragazzi neri, ragazzi coi rasta, belle ragazze che fumano… quello in primo piano non so cosa faccia, forse legge un libro.

Chiaramente anche qui è scoppiato un putiferio, con la ministra Lorenzin che accampava le peggio scuse per sostenere un progetto e una campagna che proprio non stavano in piedi. Come esito comunque l’opuscolo con quella copertina è stato ritirato nel giro di una giornata lavorativa.

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