Terzo appuntamento con i film del Trieste Science+Fiction Festival. Spoiler: uno dei tre è una vera bomba!
Lapsis
di Noah Hutton
(USA, 2020, 104′)

In un presente alternativo al nostro in cui il mondo delle telecomunicazioni è stato rivoluzionato da una nuova tecnologia che permette connessioni quantiche superveloci, per affrontare le spese mediche del fratello malato Ray accetta un lavoro come cablatore. Il suo compito è percorrere chilometri nelle foreste per stendere i cavi che collegano tra loro i cubi quantici. Ma l’account che gli è stata assegnato non è nuovo, qualcuno lo usava prima di lui, una figura ormai quasi leggendaria, anzi famigerata. Chi era Lapsis Beeftech? E in che modo la riassegnazione del suo account può cambiare per sempre il volto del mondo?
Lapsis di Noah Hutton è una gustosissima commedia solo apparentemente fantascientifica che affronta di petto il tema della gig economy (qualcunohadettoJustEat?). Il mondo in cui si muove Ray, al netto della rivoluzione dei cavi quantici, è in tutto per tutto uguale al nostro: c’è la disperazione, c’è la povertà, c’è la malattia, c’è chi inventa soluzioni, chi cerca di fregarti. E c’è chi combatte. L’identificazione è semplice, immediata. In un momento di necessità, chiunque di noi potrebbe essere Ray. Qualcuno di noi, lo è già. I toni della commedia nascondono insomma una certa profondità di sguardo e di pensiero. Dean Imperial, qui solo alla sua seconda prova da attore (la prima era in un cortometraggio), regge magistralmente buona parte del film sulle sue spalle. Peccato solo per il finale un po’ sospeso, si sente la mancanza di un bel morso finale.
Tune into the Future
di Eric Shockmel
(Lussemburgo, 2020, 72′)

L’unico documentario che ho visto in questa edizione, incuriosito dal fatto che parlava di Hugo Gernsback, l’inventore del termine “Science Fiction” e uno dei padri fondatori del genere. Rispetto ad altri, è una figura decisamente meno nota al grande pubblico, probabilmente per la scarsa qualità letteraria e artistica dei suoi lavori, e infatti anche io che non sono un appassionato duro e puro lo avevo a malapena sentito nominare. Ma la sua visione è stata fondamentale per lo sviluppo della fantascienza. Per capire il livello: il premio Hugo è intitolato a lui.
Il film di Eric Shockmel percorre la sua vita dall’infanzia alla maturità, racconta le sue imprese da inventore, imprenditore e, in ultima istanza, quelle da editore che lo hanno davvero consacrato. Si tratta in realtà di un prodotto piuttosto televisivo, senza particolari guizzi, ma riesce in qualche modo a portarti indietro in quel magico mondo che era la fantascienza degli albori, fatto di riviste pulp e invenzioni surreali, quando ancora tutto sembrava possibile e inesplorato. Non stiamo quindi parlando di un documentario imperdibile, ma si tratta comunque di un buon punto di partenza per iniziare a interessarsi a quell’epoca e per (ri)scoprire una figura ingiustamente ignota ai più.
Dune Drifter
di Marc Price
(UK, 2020, 96′)

In seguito a un feroce scontro a fuoco con una razza aliena, una giovane pilota e la sua mitragliera sono abbattute dai nemici e riparano su un vicino pianeta. Con la riserva di ossigeno in esaurimento, la compagna ferita e la navicella inutilizzabile, la pilota si trova così a esplorare il pianeta con l’obiettivo di raggiungere una vicina astronave nemica, anch’essa precipitata, nella speranza di recuperare i pezzi di ricambio utili a riparare il proprio veicolo. Ma scoprirà presto che lei e la sua compagna non sono gli unici due esseri viventi che hanno trovato rifugio tra le dune di Erebus…
Per me una delle due più grandi sorprese di questa edizione del festival – dell’altra parleremo nel prossimo articolo. Marc Price scrive e dirige con due spicci un film intenso e ricco di suspense, che ha dalla sua un indubbio talento artigianale per la messinscena, la grande qualità del lavoro di postproduzione e l’interpretazione eccezionale di Phoebe Sparrow. Mi aspettavo una cosa un po’ alla Gravity, raffinatina e smaccatamente femminista, e invece mi sono trovato di fronte un film di fantascienza durissima, sporco, intenso e supercitazionista (toh, godetevi su Quinlan la recensione di Giampiero Raganelli, che si diverte a trovare un po’ di citazioni), con un’estetica a metà strada tra i primi Star Wars e il peggior Roger Corman. Davvero consigliatissimo!