Qualche giorno fa ha fatto scalpore la notizia, rimbalzata da vari media nazionali, della “censura” di alcuni Classici Disney su Disney+. Dumbo, Gli Aristogatti e Peter Pan sarebbero stati colpiti dalla mannaia del politically correct, signora mia!
Non ho voglia di stare a spiegare in questo frangente perché la notizia è stata riportata in maniera errata e criminale. E non ne ho neanche bisogno perché lo ha già fatto bene il blog Ventenni Paperoni, quindi leggetelo lì.
Detto questo, c’è il caso di un classico Disney che su Disney+ non c’è, non c’è mai stato e purtroppo probabilmente non ci sarà mai e che ormai dagli anni Novanta non gode più di alcuna versione home video ufficiale. Si tratta del primo lungometraggio live-action Disney (anche se si dovrebbe ancora parlare di tecnica mista, dati gli abbonanti inserti in animazione), uscito nelle sale statunitensi nel lontano 1946. Il suo titolo è Song of the South, da noi adattato come I racconti dello zio Tom.
Di cosa parla Song of the South
Adattamento delle Storie di Zio Remo raccolte e pubblicate dal giornalista e scrittore Joel Chandler Harris, il film è ambientato qualche tempo dopo l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti. Racconta dell’incontro tra il piccolo Johnny, che su volere del padre va a vivere presso la piantagione di sua nonna, e Uncle Remus (Zio Tom, nell’edizione italiana), un ex schiavo nero famoso e amato dai bambini della zona per le sue fantastiche favole.
I protagonisti di queste favole, Fratel Coniglietto, Comare Volpe e Compare Orso, prendono vita davanti ai nostri occhi in sequenze colorate e spensierate in puro stile Disney. Le storie di Remus hanno un forte impatto sul giovane Johnny e i suoi amici, con conseguenze anche sul mondo reale.
Impatto Culturale
Il film ha avuto un impatto notevole sulla cultura di massa e alcuni suoi personaggi e brani musicali, nonostante la damnatio memoriae che pende sulla pellicola, sono ancora parte integrante dei contenuti targati Disney.
Fratel Coniglietto e compagnia sono stati protagonisti per decenni di avventure a fumetti (se avete a portata di mano una ristampa del primo mitico numero di Topolino libretto ci troverete una loro storia, ad esempio) e attori con le loro sembianze girovagano tuttora per i parchi Disney, dove fino a qualche tempo fa (ora non so) era tranquillamente filodiffusa l’iconica canzone Zip-a-Dee-Doo-Dah.
James Baskett, interprete di Uncle Remus, ha vinto un Oscar onorario grazie principalmente a una campagna lanciata e sostenuta dallo stesso Walt Disney. Era la seconda persona di colore a vincere un Oscar, appena due anni dopo Hattie McDaniel, la Mami di Via col vento (che tra l’altro fa a sua volta parte del cast di Song of the South nel ruolo di zia Tempy).
Perché il film è controverso
Il film però, si diceva, ora è praticamente disconosciuto dalla Disney. Al momento del lancio di Disney+, Bob Iger in persona si era pronunciato in merito alla possibilità di includerlo, magari con un disclaimer iniziale, nel catalogo della piattaforma, dichiarando:
«Per tutto il tempo in cui sono stato CEO ho sempre pensato che Song of the South fosse – anche con un disclaimer – inappropriato nel mondo di oggi. Questo vale anche per altre cose che abbiamo fatto. È difficile, date le rappresentazioni presenti in quei film, distribuirli oggi senza offendere qualcuno in un modo o nell’altro.»
Ma perché? Cosa c’è di così sbagliato in I racconti dello zio Tom?
C’è un problema enorme, che a rivedere il film ora appare assolutamente evidente, ed è l’approccio revisionista rispetto al fenomeno della schiavitù, volto a proporre una versione idilliaca del rapporto tra schiavo e padrone.
Per quanto sia vero che Song of the South è ambientato dopo l’abolizione della schiavitù (anche se il film non dà appigli evidenti allo spettatore per affermarlo), è chiaro che lo zio Remus è un ex-schiavo e la relazione benevola e servile che lo lega ai suoi ex-padroni è, a voler essere gentili, storicamente inaccurata.
Al riguardo, Scott Tobias nel 2019 scriveva per “The Guardian“:
«La sensibilità di Remus nei confronti di Johnny è maggiore di quella dei freddi e indifferenti genitori del ragazzo, ma questo calore umano è accompagnato dal sottinteso che le persone come Remus sono umane solo nella misura in cui servono le necessità e i destini dei personaggi bianchi. Questo approccio persiste nei film anche oggi che siamo a 21esimo secolo inoltrato. In Song of the South ci sono tanti esempi di becero razzismo che sono perfettamente evidenti: […] il punto più basso però viene toccato quando zio Remus introduce Zip-a-Dee-Doo-Dah e ricorda come erano le cose “tanto tempo fa”, quando “ogni giorno era molto soddisfante”. “Vogliate perdonarmi se lo dico”, aggiunge poi, “ma qui si stava molto meglio“.»
Sì, in sostanza un ex-schiavo dice che stava meglio quando si stava peggio.
Ci sono altre cose sparse qua e là. Nell’articolo di Tobias ne trovate parecchie. Guardando il film in originale, ad esempio, colpisce lo slang piuttosto sgrammaticato utilizzato dai personaggi neri, Zio Remus incluso – probabilmente replicato anche nel primo, ora introvabile, adattamento italiano della pellicola.
È giusto censurarlo?
In sostanza, il film al giorno d’oggi è indifendibile. Come d’altra parte lo sono altri film dell’epoca, come il già citato Via col vento. Ma è anche un prodotto storicamente importante, tecnicamente rivoluzionario e artisticamente pregevole. Il suo essere fuori dal tempo è sufficiente a decidere di cancellarne l’esistenza?
La risposta in sé dal mio punto di vista sarebbe ovviamente no. Un prodotto del genere va visto, spiegato, contestualizzato, criticato. Così come Via col vento, per l’appunto. O come roba persino più estrema tipo Nascita di una nazione.
Capisco però che Disney+ non sia il canale più adatto a proporre un contenuto del genere, che prima di essere proposto al pubblico della piattaforma richiederebbe una contestualizzazione molto più approfondita di un semplice disclaimer iniziale.
Allo stesso tempo, mi interrogo sull’opportunità, per Disney, di guadagnare soldi da un’eventuale edizione in home video di un film così controverso. Immagino che non sarebbe una grande mossa d’immagine.
Mi sbilancerò dicendo che Song of the South potrebbe trovare casa su Star, la piattaforma sorella di Disney+ dedicata ai contenuti più maturi, ma temo proprio che non si coglierà nemmeno questa opportunità e il film rimarrà destinata al solo recupero per vie non legali.
Senza contestualizzazione, senza spiegazioni, senza educazione sul tema.
Peccato, vero?
In Spagna è uscito un blu ray con audio italiano in questi giorni
Notizia splendida! Grazie per l’informazione!