Rileggendo i vecchi post del blog, mi sono reso conto che sono passati ormai due anni e mezzo dalla pubblicazione di C’era una volta, la bella antologia dedicata al mondo delle fiabe a cui ho partecipato con il mio Bianca Noir (ne avevamo parlato qui). Dato che l’antologia è abbastanza difficile da reperire, ho deciso di ripubblicare quel racconto qui sul blog a puntate settimanali. Se te lo sei perso, leggi qui Bianca Noir: Capitolo 1.
Bianca Noir, Capitolo 2: Inseguimento
All’alba del mattino successivo sono già appostato fuori dal Royal Palace. Pedinare Azzurro non sarà facile: da quando è stato incoronato re, una scorta di quattro guardie armate lo segue ovunque. Ma io ho con me la mia moto migliore – una Harley-Davidson Knucklehead nera che ho chiamato Silenzio – e anni di esperienza nel tracciare i percorsi degli orsi e dei cervi nel bosco: saprò mantenere la giusta distanza. Seminarmi è impossibile, tutti lo sanno. È praticamente il mio motto.
Azzurro esce verso le sei sulla vettura reale, una grossa berlina bianca della Daimler. Faccio passare un paio di minuti e poi mi metto alle sue calcagna. Gli resto appresso tutta la mattina e nessuno mi nota. Sfreccio nel traffico, con la macchina fotografica al collo e una calibro 20 nella fondina, per sicurezza. In ogni caso, se davvero Azzurro ha un’amante – e in questo momento ho pochi dubbi in proposito – per incontrarla aspetterà di essere da solo. Finché le guardie sono nei dintorni, non ci sarà nulla di veramente interessante da fotografare.
Mi accontento di qualche scatto che documenti la giornata: foto della cavalcata mattutina, foto dell’incontro con i rappresentanti dei contadini del villaggio vicino, foto dell’incontro con l’ambasciata della Marca di Carabas. Una pallosissima mattinata da funzionario pubblico.
Gli incontri e le visite di cortesia proseguono in orario di pranzo e nel primo pomeriggio, così Azzurro rientra a Palazzo solo verso le quattro. Alle cinque e mezza, però, esce nuovamente, stavolta senza scorta – a parte quella che non sa di avere, vale a dire me e Silenzio.
Al tramonto, il Principe è arrivato sul limitare della Foresta Nera che si stende a svariate miglia dalla Capitale; lì, parcheggia la Daimler e aspetta. Dopo pochi minuti, dalla foresta emerge una visione: una ragazza dal fisico atletico, bionda come l’oro dei Pirati. Indossa un abito quasi trasparente che lascia ben poco spazio all’immaginazione e mi lascia per qualche istante a bocca aperta. La fotografo senza quasi rendermene conto, un bel primo piano. È bellissima, ma di una bellezza diametralmente opposta a quella di Biancaneve: mentre Bianca è eterea e irraggiungibile, lei ha una fisicità molto concreta; mentre Bianca si mostra sempre umile, lei incede in maniera maestosa, quasi tracotante; mentre Bianca ha l’aria pura e innocente, gli occhi di questa ragazza trasmettono quasi esclusivamente lussuria. Oserei dire che se Biancaneve è una brezza fresca mattutina, questa biondina è una fiamma che divampa inaspettata e si diverte a giocare con te finché non ti bruci.
La ragazza abbraccia Azzurro e lo bacia appassionatamente. Io faccio il primo scatto interessante della giornata, poi li seguo mentre si inoltrano nella foresta finché non raggiungono, in mezzo a una radura, una piccola baita con le finestre oscurate e vi entrano. Cerco di trovare uno spiraglio per dare un’occhiata all’interno, ma non ho successo e sono costretto ad allontanarmi per non essere scoperto. Quella ragazza bellissima forse in questo momento è nuda al di là di quei muri di legno… basterebbe così poco per poterla vedere e toccare! Passa un’ora e finalmente i due riemergono. Si salutano con un lieve bacio sulla bocca e io faccio il secondo scatto interessante della giornata.
Due baci. Sono poca cosa, ma potrebbero essere sufficienti. A Biancaneve forse basterebbero per chiudere l’indagine e rassegnarsi. Ma non bastano a me: chi è la bionda fatale che viene dalla foresta in cui ero solito cacciare e perché non l’ho mai vista prima? Mentre mi interrogo su queste cose, Azzurro mi passa quasi di fianco senza accorgersi di me; la ragazza, invece, si inoltra nell’intrico dei rami in direzione opposta. Senza perdere altro tempo, la seguo. Do un’occhiata veloce al terreno per memorizzare la forma delle sue impronte, ma non ne trovo. I rami attraverso cui è passata non si sono neanche spezzati e lei è già solo un’ombra in lontananza.
Affretto il passo per non perderla di vista e intanto continuo a guardarmi intorno, cercando ogni possibile indizio del suo passaggio, senza fortuna. Eppure ai vecchi tempi, in questi stessi boschi, avevo imparato a riconoscere persino le tracce lasciate dalle fate e dagli elfi!
La ragazza si muove a zigzag tra gli alberi. Sembra quasi che non abbia una meta precisa: ci spostiamo prima verso est, poi improvvisamente verso nord, infine indietro, verso ovest. A un tratto si volta verso di me, i drappeggi dell’abito sospesi in un istante immobile e infinito, come i capelli dorati. Mi guarda negli occhi, mi sorride e si lancia dietro a una quercia. Cerco di raggiungerla ma, quando giro l’angolo, è definitivamente scomparsa. Ispeziono nervosamente le rocce, i rami e gli arbusti, in cerca di non so quale passaggio segreto. Continuo a cercare le sue tracce per qualcosa come un’ora, invano. Guardo la Luna quasi piena che filtra attraverso le fronde sopra di me.
«Seminarmi è impossibile», mi dico. «È praticamente il mio motto», mi dico. Poi mi incammino sconsolato verso il luogo in cui ho lasciato Silenzio e mi rispondo da solo: «Vaffanculo».