Bianca Noir Capitolo 4: Un bourbon al Lamp of Arabia

Ho interrotto la pubblicazione per un bel pezzo, ma ora si riprende! Rileggendo i vecchi post del blog, mi sono reso conto che sono passati ormai tre anni e mezzo dall’uscita di C’era una volta, la bella antologia dedicata al mondo delle fiabe a cui ho partecipato con il mio Bianca Noir (ne avevamo parlato qui). Dato che l’antologia è abbastanza difficile da reperire, ho deciso di ripubblicare quel racconto qui sul blog a puntate settimanali. Leggi qui i capitoli precedenti.

Bianca Noir Capitolo 4: Un bourbon al Lamp of Arabia

La mattina successiva cerco di fare mente locale. Se l’immagine della ragazza non rimane impressa nelle foto, c’è di mezzo la magia, e questo spiega tante cose. Non mi spiega, però, come portare a Biancaneve le prove che mi ha chiesto e in che direzione muovermi per proseguire l’indagine. L’unico sistema che ho per risolvere la questione è affidarmi a qualcuno che se ne intende più di me.

Il Lamp of Arabia è un pub famoso per il suo ottimo caffè e il fumo d’importazione, ma anche per non esercitare alcun tipo di controllo sulla clientela: dentro, ci puoi trovare i cosiddetti “buoni” e i cosiddetti “cattivi” gli uni di fianco agli altri per l’aperitivo. Su volere del proprietario – che è anche l’unico barista – nel locale vige un patto esplicito di non belligeranza.

Questo posto è una benedizione per gente come me, che sta a metà strada tra il bianco e il nero. Siamo veramente in pochi così, a questo mondo, e tutti prima o poi ci siamo ritrovati al Lamp, per sorseggiare un drink, fare una partita o semplicemente per trovare una zona franca in cui nessuno cerchi di assegnarci a uno schieramento e di calcolare il peso della nostra anima. Anche se non vengo qui da qualche tempo, dunque, quando entro lo faccio con lo spirito del cliente abituale e mi sento immediatamente a mio agio.

Vista l’ora, il locale è quasi vuoto: mentre lo attraverso noto solo un ciccione intento a fumare il narghilè dietro a una tenda, un paio di beoni a un tavolino e un’ombra che proviene dalla adiacente sala da biliardo. Arrivo al bancone e ordino un onestissimo bourbon, per iniziare bene la mattinata.

«È un pezzo che non ci vediamo… ti posso chiamare ancora “Cacciatore” o preferisci “Detective”?», mi chiede il proprietario, che mi ha riconosciuto dalla voce. Ancora non si è neanche girato a guardarmi, intento a pulire alcune bottiglie sugli scaffali dietro al bancone.

«Puoi continuare tranquillamente con Cacciatore», gli dico io sorridendo, «d’altra parte, è quello che sono. E io invece che faccio? Continuo a chiamarti “Genio”?»

La creatura millenaria che possiede questo pub si volta finalmente a guardarmi negli occhi e mi porge il mio bourbon, la bottiglia intera. «Certo», mi risponde, «d’altra parte, è quello che sono!»

***

Il Genio è una delle persone più riservate che conosca, oltre a essersi sempre dimostrato un ottimo amico e un eccellente informatore. Approfittando del locale semi-vuoto, gli racconto senza esitazioni di Biancaneve e Azzurro, dei sospetti di lei, della giornata di pedinamento e della bionda fatale. Gli dico dell’inseguimento nel bosco, della completa mancanza di tracce e delle foto scattate a vuoto. Il Genio ragiona un secondo in silenzio, come se stesse raccogliendo dati da un angolo remotissimo della sua memoria. Poi si decide a parlare.

«Sì, hai ragione c’è di mezzo la magia. La descrizione della ragazza non mi dice niente, non credo di conoscerla. Però, mi hai ricordato una storia che girava qualche decennio fa: parlava di una bellissima principessa che a causa di una maledizione si era dovuta rifugiare in un bosco, protetta da alcune fate che vegliavano con la magia affinché nessuno la riconoscesse o la potesse rintracciare. Ma come ti dicevo, è una storia vecchia di decenni e credo che sia pure finita male.»

«Ti ricordi il nome della principessa?»

«Era qualcosa che aveva a che fare con i fiori… farò qualche ricerca.»

«Bene. »

«Per quanto riguarda la macchina fotografica non so cosa dirti: questi aggeggi moderni mettono in difficoltà pure me! Dovrei essere in grado di rendere le tue pellicole immuni ai sortilegi di protezione più basilari, ma per risolvere il problema alla radice dovrei sapere con precisione quale incantesimo utilizza la bionda per occultarsi.»

«Capisco. E se volessi scovarla, la bionda?»

«Vale lo stesso discorso: senza sapere che tipo di magia usi, il massimo che posso fare è darti un amuleto che ti permetta di rintracciarla, ma devi riuscire a nasconderglielo addosso senza che se ne accorga, e anche in questo caso, se la magia è troppo potente, l’amuleto non avrà effetto.»

Scolo un altro sorso dalla mia bottiglia. L’incontro non sta andando come speravo: cercavo delle soluzioni e invece trovo solo palliativi di dubbia efficacia. «Non ci sono altri modi?», chiedo.

«Anche la magia ha i suoi limiti», risponde serafico il Genio, «Tutto ha i suoi limiti.»

All’improvviso una voce cavernosa rimbomba nel locale e fa trasalire entrambi. «Non proprio tutto», dice la voce, «ci sono cose che trascendono i millenni e che non hanno limiti». Ci voltiamo entrambi verso l’ingresso della sala da biliardo. Contro la luce del sole che filtra dalla finestra, si staglia una figura imponente e pelosa. Indossa vestiti di pelle nera e negli occhi scintilla un lampo rosso, come la violenza. Un brivido mi corre lungo la schiena quando lo riconosco.

«Una di queste cose è il mio fiuto. Ti aiuterò io a rintracciare quella zoccola», mi dice senza esitazioni il Lupo.

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